Caviglia dolorosa dello sportivo

Che cos'è

Lo sport è un laboratorio di biomeccanica applicata, ove le articolazioni subiscono sovraccarichi elevati, con possibilità di microtraumi ripetuti o di traumi acuti anche gravi, per la dinamica delle forze in gioco.

Statisticamente la caviglia, insieme al ginocchio, è l’articolazione più esposta a questo tipo di traumatologia, specificamente in alcuni sport, come il calcio, il rugby, il basket ed il volley.

Inoltre molti atleti non più giovani praticano sport, come la corsa, da dilettanti evoluti, con carichi di lavoro significativi. In tali attività uno squilibrio biomeccanico anche minore (basti pensare ad una dismetria degli arti, un ginocchio varo o ad un piede piatto), a causa della ripetuta e prolungata sollecitazione propria dello sport, va a creare quadri dolorosi cronici (tallodinia, fratture da stress, tendinopatie croniche etc.) talora con la necessità di abbandonare l’amata attività.

Caviglia dolorosa in ex giocatore di calcio di 42 anni. Classico quadro di «football ankle» con calcificazioni periferiche e condropatia diffusa su due versanti articolari.

Nelle distorsioni acute di caviglia, il trauma più frequente in assoluto, la lesione coinvolge in genere i legamenti esterni, con lesioni di gravità progressiva. In questo tipo di lesioni la diagnosi ha fatto considerevoli passi in avanti, portando l’attenzione sull’alta incidenza di lesioni cartilaginee presenti in questa tipologia di traumi. Grazie alla Risonanza Magnetica si ricercano oggi precocemente, oltre alle lesioni legamentose su cui per la verità la RMN non dà un particolare aiuto diagnostico, le lesioni cartilaginee e/o le eventuali microfratture.

Le informazioni fornite dalla Risonanza Magnetica, integrate con i test dinamici di stabilità legamentosa, gli unici veramente validi nella diagnosi di gravità per una lesione legamentosa, consentono un grading realistico, che ha molta importanza nella scelta della cura corretta e nella valutazione della gravità del trauma a fini prognostici.

La letteratura internazionale e l’esperienza ci hanno insegnato come raramente le lesioni capsulari e legamentose delle distorsioni acute anche gravi si debbano operare, poiché i risultati del trattamento conservativo sono analoghi, e con minori rischi, a quelli di un trattamento chirurgico in acuto. Il trattamento conservativo si attua con il protocollo PRICE (Protezione con tutore-Riposo-Compressione-Elevazione), seguito da opportuna riabilitazione, che deve essere precoce e aggressiva.

Per fortuna meno di un quarto degli esiti distorsivi importanti sfocia in una instabilità cronica, che deve essere riconosciuta e trattata con tecniche di riparazione specifiche, sia anatomiche (quindi senza sacrificio di tessuti non ligamentosi), oppure in casi più gravi con tenodesi omologhe (tendini) o eterologhe (tessuti sintetici).

A cavallo fra le situazione acute e quelle croniche si trova lo sterminato campo della caviglia dolorosa cronica da cause eterogenee, come le sinoviti iperplastiche, le aderenze fibrose, le calcificazioni eterotopiche, i conflitti ossei o osteofibrosi a livello delle gole laterali o della camera anteriore.

In questo territorio non omogeneo trova grande spazio l’artroscopia di caviglia per la sua capacità di completamento diagnostico e per la possibilità di trattare, con gesto minimamente invasivo, le lesioni suddette.

Causa di dolore tibio-tarsico. Conflitto osseo anteriore. Trattamento artroscopico.
Caviglia dolorosa dello sportivo. Rimozione artroscopica di corpi liberi.
Caviglia dolorosa dello sportivo. Alla RMN calcificazione e fibrosi medial gutter e diffusa condropatia. A destra il corrispondente quadro artroscopico, con cartilagine diffusamente sofferente e rugosa.

La morbilità dell’intervento è bassa con rapido recupero alla normalità.

Un capitolo a parte è rappresentato dalle lesioni cartilaginee della caviglia, specie della troclea astragalica. L’astragalo ha una cartilagine sottile, poco resistente ai traumi compressivi e da taglio. Vista la frequenza statistica dei traumi distorsivi di caviglia non stupisce l’elevata incidenza di queste lesioni, che da acute e minori diventano frequentemente croniche e significative.

Se a ciò si aggiunge l’instabilità cronica con traumi ripetuti e un eventuale disassetto posturale per piede cavo varo o piede piatto, ecco che ci si spiega l’alta incidenza di lesioni cartilaginee nella genesi del dolore nella caviglia negli sportivi.

Il trattamento delle lesioni cartilaginee è tutt’ora un capitolo aperto e controverso. Sappiamo dei miglioramenti possibili con stimolazioni biofisiche e con viscosupplementazione con acido jaluronico nelle lesioni cartilaginee di grado I e II inferiori a 1 cm, mentre nelle lesioni cartilaginee più gravi e più estese si stanno imponendo i trattamenti con cellule cartilaginee autologhe su supporti biologici.

Manca tuttavia a tutt’oggi un consensus definitivo su quale tecnica scegliere, quali materiali, quali costi affrontare e quali garanzie offrire al paziente in questo ambito tanto problematico.

LESIONI DISTORSIVE ACUTE

Le lesioni distorsive acute sono il trauma più frequente negli sport di contatto (calcio, rugby, volley ecc.) e anche negli sport individuali (tennis, corsa ecc.).

I dati internazionali segnalano una frequenza di più di 7 eventi distorsivi ogni mille abitanti per anno nella popolazione generale, probabilmente assai più negli sportivi.

Esse coinvolgono quasi esclusivamente i legamenti laterali della caviglia e possono dipendere da traumi ad alta energia durante l’attività sportiva o da infortuni più banali come una caduta in un buco o da uno scalino.

Il meccanismo traumatico è rappresentato da un brusco e violento spostamento della caviglia all’interno e verso il basso, con scarsa componente torsionale (altrimenti avviene una frattura di caviglia).

L’entità del trauma è estremamente variabile, da minimo o maggiore, in relazione all’entità del danno capsulare e legamentoso.

Per definizione tuttavia nella distorsione di caviglia si lacerano, totalmente o parzialmente, uno o più legamenti stabilizzatori della caviglia.

La stabilità esterna della caviglia è garantita da tre legamenti principali, che sono:

  • peroneo astragalico anteriore o PAA/ATFL;
  • peroneo-calcaneale o PC/CFL a scavalco dell’astragalo con inserzione sul calcagno;
  • peroneo astragalico posteriore o PAP/PTFL.

Questi legamenti sono nastri cordoniformi che stabilizzano l’astragalo, unico osso del corpo umano senza inserzioni muscolari, posto a mo’ di giunto cardanico fra pinza malleolare e calcagno e distributore delle forze di reazione piede-suolo che dal terreno salgono alla gamba e viceversa.

Preparato anatomico. Si vedono i legamenti PAA e PC messi in tensione analogamente al test clinico dinamico della foto di destra.

Il PAA è il legamento più frequentemente danneggiato in corso di distorsioni di caviglia.

Generalmente lo sportivo infortunato, appena avvenuto il trauma, viene valutato dal medico sportivo e poi condotto in pronto soccorso.

L’indicazione a esecuzione di Rx viene posta in base alle OTTAWA ANKLE RULES, che indicano la gravità clinica del trauma come elemento decisivo per eseguire l’esame.

Vanno sempre eseguite Rx della caviglia in tre proiezioni e RX del piede.

Questo perché molti traumi distorsivi si associano a lesioni ossee, spesso misconosciute, fra le quali le più frequenti sono le fratture oblique del perone, le fratture parcellari da distacco legamentoso dell’apice del perone, le fratture del processo laterale dell’astragalo, le fratture della base del quinto metatarsale.

VARIETÀ DI FRATTURE DEL QUINTO METATARSALE IN CORSO DI DISTORSIONE DI CAVIGLIA A sinistra: avulsione della tuberosità. Al centro e a destra zona della giunzione metafiso-diafisaria con frattura da stress detta di Jones.

L’esecuzione di una risonanza magnetica della caviglia affetta è indicata soprattutto in atleti professionisti e in traumi gravi.

La risonanza dà informazioni scarse sull’entità della lesione legamentosa, in termini di interruzione completa o meno, ma è decisiva nel diagnosticare microfratture, edema da impatto (cioè frattura intraspugnosa dell’osso), lesioni cartilaginee associate.

RMN di lesione legamentosa esterna cronica con interruzione di PAA e PC. Coesiste piccola lesione osteocondrale mediale.

La valutazione della caviglia infortunata viene completata con test dinamici, da eseguire con attenzione, spesso in anestesia locale, nelle lesioni fresche e solo dopo aver eseguito le indagini succitate. Si eseguono sotto controllo RX-fluoroscopico, cioè sotto amplificatore di brillanza le manovre del cassetto anteriore (drawer sign) e del ballottamento astragalico (talar split), da eseguire con cautela o in anestesia locale nelle lesioni acute.

Test per instabilità di caviglia. A sinistra manovra del cassetto o talar split, a destra manovra del ballottamento o talar tilt.

L’entità della lassità articolare così testata ci fornirà indicazioni ulteriori per diagnosticare la gravità delle lesione legamentosa e inquadrarla in uno schema classificativo adeguato (classificazione di Castaing-Lanzetta modificata):

In genere le lesioni si distinguono in:

  • grado 0, lesione lieve senza instabilità;
  • grado 1, lesione isolata del PAA;
  • grado 2, lesione di ambedue i legamenti collaterali, PAA e PC;
  • grado 3, lesione complessa, capsulare e legamentosa, con grave instabilità, al limite con la lussazione.

Poiché i legamenti della caviglia cicatrizzano con relativa facilità, a patto che vengano evitate sollecitazioni meccaniche fino a completa guarigione, per la maggioranza delle lesioni si preferisce il trattamento non chirurgico.

Vi è possibile indicazione a riparazione chirurgica solo nelle lesioni di grado 3 e in atleti giovani e professionisti, per cercare di accorciare i tempi di recupero e trattare eventuali lesioni condrali.

Raro caso di riparazione chirurgica in atleta professionista con lesione di grado III. I fili agganciano i legamenti lesionati per una sutura termino-terminale diretta.

Se possibile va evitato il gesso, che tende ad irrigidire il complesso articolare e non facilita il riassorbimento degli ematomi.

Oggi, modernamente, si applica il protocollo PRICE.

La caviglia viene stabilizzata con un tutore semirigido, in genere bivalve, si associa riposo con arto elevato, ghiaccio, gentile compressione, deambulazione senza carico con stampelle per una/due settimane, poi carico a tolleranza.

A sinistra stivale Boot Cam Walker per distorsione di caviglia, che può sostituire il gesso in caso di lesioni gravi. Al centro e a destra cavigliere stabilizzanti. A destra il tutore viene utilizzato come protezione dopo il trauma acuto, una volta guarito, per prevenire recidive.

La fisioriabilitazione deve essere applicata precocemente, prima allo scopo di ridurre l’edema e il dolore, poi per favorire la cicatrizzazione.

Quando questa è avvenuta, va iniziata la rieducazione vera e propria, per ridare ai legamenti quella funzione di recettori funzionali nota come propriocettività.

FASE 3-4 RIABILITATIVA/ FUNZIONALE - Esercizi propriocettivi - Esercizi di resistenza - Esercizi sportivi specifici

La propriocettiva è la capacità automatica di ristabilizzare la propria caviglia quando è bruscamente portata fuori asse, grazie ad una istintiva, rapida ed efficiente, contrattura muscolare, specie dei tendini peronieri.

Questa capacità va riacquisita in maniera ottimale, pena una instabilità funzionale cronica, che espone in alto numero di casi al rischio di recidive distorsive.

La parte finale della cura di una lesione distorsiva di caviglia è la riabilitazione sul campo, che prevede passaggi successivi specifici di recupero, adeguati allo sport che si dovrà eseguire.

Il dopo di una lesione distorsiva di caviglia acuta in uno sportivo è molto importante.

Vanno evitate le recidive, anche minori, che portano lentamente ad una instabilità cronica e vanno corretti i parametri di appoggio, specie nel morfotipo cavo-varo, con corrette ortesi (plantari).

In determinati casi la caviglia, durante l’attività, va protetta con bendaggio (taping) o cavigliera stabilizzante, vanno rivisti i terreni di allenamento, il tipo di calzatura e, in qualche caso, corrette le modalità del gesto tecnico.

INSTABILITÀ CRONICA DI CAVIGLIA

Dopo una lesione acuta di caviglia, specie in soggetti con lassità legamentosa cronica (in genere donne) o con morfotipo cavo-varo (in genere uomini) l’atleta può avere una serie di recidive distorsive, maggiori o minori. La letteratura ci dice che una percentuale fra il 5% e il 20% di questi sportivi sviluppa una patologia cronica dolorosa di tibio-tarsica, associata o meno ad instabilità.

L’analisi del tipo d’instabilità, se meccanica, funzionale o mista, le cause, le patologie associate che possono concorre ai sintomi e/o all’instabilità, il morfotipo e le richieste funzionali rappresentano la base per un trattamento razionale e corretto, sia verso una decisione chirurgica, o meno, che verso la scelta del tipo di procedura chirurgica da attuare.

Il paziente con instabilità cronica di caviglia frequentemente riferisce dolore causato da un insieme di sintomi e provocato da traumi minori, sempre caratterizzati da componente distorsiva.

Lassità legamentosa cronica. Alla RMN evidente la lesione, cui corrisponde, evidente ai test dinamici, marcata instabilità.

Durante la raccolta dei dati anamnestici è interessante chiarire subito se “la caviglia esce o le fa male?”, oppure se l’evento distorsivo (giving way) è causato da dolore improvviso, oppure se il dolore (con eventuale gonfiore e relativa impotenza funzionale) è conseguenza del fatto acuto.

Durata dei sintomi, tipi d’infortunio, modalità del trauma distorsivo, necessità di uso di tutori, precedenti trattamenti (e risposta agli stessi) sono importanti per un corretto inquadramento.

L’esame obiettivo inizia con un’accurata ispezione del segmento in esame, analizzando tumefazione, gonfiore, reperi anatomici.

Tipico è il dolore sul punto inserzionale del peroneo-astragalico anteriore (PAA), ma va analizzata anche l’inserzione del peroneo-calcaneare (PC) in genere meno dolente. Attenzione va rivolta inoltre ai tendini peronieri, la cui patologia di tipo tenosinoviale, o tendinosica, in genere accompagna l’instabilità cronica.

Lo spazio sottomalleolare peroneale deve essere valutato con attenzione. Un dolore sottoperoneale può far sospettare un corpo libero o gli esiti di un distacco, un dolore anteriore una patologia della lateral gutter.

Si risale quindi lungo la sindesmosi, valutando sia sensazione d’impiccio sottocutaneo, che eventuale dolore.

La palpazione va poi condotta anteriormente e medialmente, in sede premalleolare, onde svelare altri punti dolorosi e saggiare palpatoriamente la presenza di salienze (es. naso astragalico), esostosi, corpi liberi.

Infine vanno saggiati base del quinto metatarsale e processo anteriore del calcagno.

Completata l’ispezione, si passa allo studio della stabilità articolare (stress test), con la manovra del cassetto anteriore (talar split o drawer test) e della stabilità latero-laterale (talar tilt).

Ambedue questi test, che andranno condotti bilaterali, saranno punteggiati con crocette, essendo (- – -) l’assenza di positività e (+ + +) il massimo grado di instabilità.

Nella manovra del cassetto la caviglia è in leggera plantarflessione e la tibia assicurata con forza con la presa della mano controlaterale all’arto da esaminare. Facendo forte presa sul calcagno si esegue la prova del ballottamento in avanti. Nei gradi maggiori la cute latero-anteriore si ritrae, rientrando appena, come risucchiata dall’interno. (“suction test positivo”).

Se lo scivolamento in avanti è inferiore a 5 mm, il test può essere considerato negativo, con ampia variabilità individuale. Scivolamenti maggiori, intorno ai 9-10 mm sono positivi per lesione del PAA di vario grado.

Nella manovra dello stress laterale il calcagno viene invertito con la caviglia in posizione neutra.

Viene eseguita comparazione con il controlaterale.

Una positività più o meno decisa di questo test è suggestiva per una lesione del PC.

Molto utile è confermare il test di stabilità con manovre di stress radiografico, in genere in X-scopia, per confermare il dato clinico e misurare esattamente sia lo scivolamento in avanti della troclea astragalica nel talar split, che l’apertura della rima tibio-tarsica in laterale nel talar tilt (il cosiddetto “sbadigliamento articolare”).

Infine l’ispezione va completata con lo studio dell’allineamento del retropiede. La presenza di un morfotipo in cavo-varo rappresenta, infatti, un significativo fattore di rischio per l’instabilità laterale.

Andrà dunque esaminato il retropiede in carico e valutata la presenza di cavismo anteriore e quanto questo condizioni il varismo del retropiede, mediante la manovra di Coleman-Andreasi. Si tratta semplicemente di porre il soggetto in carico bipodalico con l’avampiede fuori dal bordo del podoscopio, in modo di valutare quanto l’allineamento del retropiede sia condizionato dalla plantarflessione del primo metatarsale. Il test è positivo quando il varo di calcagno si annulla con l’avampiede posto al di là del bordo del podoscopio, e dunque svincolato dal carico.

Infine si passa a valutare la stabilità articolare in carico, in monopede stazione, a occhi aperti o chiusi. Tale manovra mira a quantificare la componente funzionale della instabilità e deve essere condotta bilateralmente. La presenza di un’importante oscillazione durante il test in monopede stazione a occhi chiusi e braccia divaricate (il cosiddetto test di Romberg) viene definita “parkinsonismo astragalico”.

Embricando le osservazioni derivate dai test di stress con tale manovra, si potrà inquadrare più precisamente il tipo di instabilità, se meccanica oppure funzionale oppure mista.

Dopo la raccolta dell’anamnesi e l’esecuzione dell’esame obiettivo è opportuno completare l’inquadramento del paziente con opportune indagini strumentali.

Si ricorre innanzitutto alla radiologia tradizionale, richiedendo radiografie standard della tibio-tarsica affetta (AP/LL/obliqua per mortaio) e Rx del piede interessato, comprese le proiezioni oblique (tipo Broden).

Tali Rx sono già in grado di fornire buone informazioni su eventuali patologie tibio-tarsiche, sottoastragaliche, esiti traumatici (ricordiamo in particolare fratture base quinto metatarsale, del becco del calcagno, del processo laterale dell’astragalo), corpi liberi, ossificazioni.

Successivamente, dopo adeguata valutazione clinica della stabilità che rimane sempre e comunque il gold standard diagnostico, si eseguono radiografie con test dinamici.

Nell’instabilità cronica non è necessario ricorrere all’anestesia locale, come per le lesioni acute; la tecnica considerata più affidabile è quella con Rx in apparecchio Telos, in grado di produrre una forza dislocante e predeterminata, pertanto più affidabile in termini di riproducibilità. In assenza di tale dotazione si ricorre a RX-stress in fluoroscopia, comparative alla controlaterale se positive.

Si riconferma che un talar tilt di almeno 20° è sempre da considerare positivo, dubbio fra 10° e 5°, positivo se di 5° maggiore del controlaterale.

Un cassetto anteriore (talar split) maggiore di 9 mm è sicuramente patologico, maggiore di 5° rispetto al controlaterale lo è altrettanto.

La risonanza magnetica nucleare (RMN) è un esame di secondo livello, indicato quando il paziente riferisca dolore associato all’instabilità. La RMN infatti risulta sicuramente utile per valutare la patologia cartilaginea (lesioni osteocondrali), sinoviale e tendinea, non per un assessment della patologia legamentosa, limitandosi a una descrizione anatomica del danno legamentoso, non alla capacità stabilizzante.

Oggi si chiedono esami con apparecchiature ad alto campo (1,5 Tesla), oppure almeno superiori a 0,5 Tesla.

In qualche caso, specie per le lesioni tendinee, la RMN può validamente essere sostituita dallo studio ecografico, che ha il vantaggio di essere dinamico nel valutare lo scorrimento tendineo e/o la lussabilità del tendine stesso.

In determinate occasioni la RMN può essere approfondita con una TC di tipo multislice, che studia meglio la componente ossea e l’estensione di eventuali lesioni osteocondrali (es. in caso di sospetta sinostosi).

L’indicazione al trattamento chirurgico è rappresentata primariamente dal fallimento del trattamento non-chirurgico nel trattare l’instabilità. Infatti la decisione chirurgica deve essere assai circostanziata, solo dopo un trattamento riabilitativo/funzionale accurato comprendente training propriocettivo e rinforzo peroneale, prolungato quanto serve per ottenere un buon recupero.

Va inoltre valutata attentamente la possibilità di mantenere stabilizzata la tibio-tarsica con un’ortesi stabilizzante (cavigliera stringata e con straps) che in molti casi, specie in caso di attività saltuaria sportiva, può essere sufficiente.

Quando via sia un morfotipo in cavo-varo da considerare inoltre l’opportunità di ortesi adatte a compensare il disallineamento in carico.

Se, dopo un periodo di trattamento variabile fra 3 e 6 mesi, un paziente giovane e sportivo, con significative richieste funzionali, non risponde al trattamento fisiatrico/riabilitativo e presenta dolore correlato ad instabilità cronica prevalentemente meccanica, si pone indicazione chirurgica, naturalmente in relazione all’età, al morfotipo, alle richieste funzionali.

Ricordiamo infatti come una instabilità di vecchia data della tibio-tarsica, con traumi recidivanti, se non trattata conduce in genere a progressiva degenerazione artrosica.

Nella scelta dell’intervento da attuare vanno considerate in primis le tecniche anatomiche (Brostrom/Brostrom-Gould) poiché più semplici e accreditate di un’alta percentuale di successo, preservando al contempo un movimento articolare completo.

La riparazione diretta dei legamenti ha inoltre il vantaggio di rispettare i tendini peroneali, creando minime complicazioni.

Descritta originariamente da Brostrom, la tecnica anatomica è stata migliorata mediante l’utilizzo del retinacolo degli estensori come augmentation, come proposto da Gould. Così si migliorano sensibilmente i risultati di questa tecnica, poiché contribuisce a trattare/ prevenire l’instabilità sottoastragalica.

Tempi chirurgici di riparazione anatomica se. Brostrom-Gould con ancoretta per instabilità cronica di caviglia.

La tecnica di tenodesi ed emitenodesi col peroniero breve mediante tunnel peroneale, originariamente descritta da Watson Jones e poi con successive numerosi varianti, trovano indicazione nei casi di fallimento di pregressa riparazione anatomica, in caso di soggetti con iperlassità congenita, di contemporanea instabilità sotto-astragalica, in caso di atleti di grande taglia e importanti richieste funzionali.

Ligamentoplastica esterna con tenodesi mediante tunnel peroneale ed emitendine di peroniero breve sec. Watson-Jones modificata Castaing.

In determinati casi la tecnica di Brostrom può essere integrata con una tenodesi col peroniero breve, come descritto da Evans, specie quando i residui dei tessuti capsulari siano insufficienti, oppure in soggetti con maggiori richieste funzionali.

Questa tecnica prevede un’incisione modificata più posteriore a contornare il malleolo peroneale con apertura della guaina dei peronieri, isolamento del tendine peroniero breve, preparazione di emitendine, che viene lasciato inserito distalmente.

Si opta poi per il passaggio del tendine attraverso un tunnel, come descritto nella tecnica originale, oppure, come preferiamo noi, all’ancoraggio dell’emitendine del peroniero breve, passato sotto il retinacolo degli estensori, direttamente sul punto peroneale, utilizzando la stessa ancoretta utilizzata per la Brostrom. Ciò è più semplice e più sicuro poiché lo spazio per tunnel più ancoraggio sull’apice peroneale è molto limitato.

Il protocollo postoperatorio prevede stivaletto in vetroresina aperto a valve per 3 settimane, durante le quali il paziente non può caricare. Viene ispezionata la ferita fino a guarigione, eseguita profilassi antibiotica per 6 gg e anti TVP per 24 gg.

Rimosso il gesso a tre settimane, viene consigliata cavigliera svedese a doppia allacciatura (Swede “0” o BOA Thuasne) e mobilizzazione precoce controllata, poiché è noto come lo stress funzionale indotto dal movimento favorisca una disposizione delle neo-fibre collagene lungo le linee di forza.

A sei settimane s’inizia attività in carico pieno, con l’obiettivo di recuperare ulteriormente il range di movimento, insieme alla forza con esercizi in controresistenza e potenziamento muscolare più aggressivo.

La coordinazione viene stimolata con esercizi propriocettivi e in atleti possono essere associati esercizi in acqua, per mantenimento della progettazione motoria specifica per lo sport originariamente praticato.

Il ritorno sul campo per corsa leggera avviene a 8 settimane, con combinazione di allenamento isocinetico e propriocettivo, la ripresa di sport attivo a 12 settimane con protezione in taping o cavigliera.

L’intervento di Brostrom-Gould è una tecnica collaudata e verificata negli anni e presenta una buona percentuale di successo, beninteso con le opportune indicazioni ed un’impeccabile esecuzione tecnica.

Numerosi AA in più revisioni ed anche nella nostra esperienza i risultati sono buoni e ottimi in percentuali variabili fra il 76% ed il 90%, con rientro a livelli sportivi precedenti il trauma in tempi variabili fra 6-8 mesi.

Le complicanze in genere sono minime e in percentuale inferiore al 12%.

Esse sono rappresentate da neurodinie dei nervi sentitivi adiacenti o piccole aree di anestesie o disestesia.

In conclusione, nell’ambito dell’algoritmo di trattamento dell’instabilità laterale cronica di caviglia l’intervento di Brostrom-Gould modificato con ancoretta occupa uno spazio prevalente, per i vantaggi correlati alla semplicità, rispetto dell’anatomia, rapido recupero, scarsa o nulla limitazione del movimento articolare.

La modifica di Evans con emitendine (o tendine) di peroniero breve permette di allargare l’indicazione ad atleti di grande taglia, casi di lassità congenita, situazioni d’instabilità avanzate, specie in associazione a morfotipo cavo-varo.

Il ricorso ad altre tecniche di tenodesi con emitendine di peroniero breve, derivanti dall’originale di Watson-Jones, risulta a nostro avviso indicato solo nei casi di fallimento di pregresse tecniche anatomiche, in soggetti con iperlassità, in instabilità associate di sotto-astragalica, in atleti di grande taglia ed alte richieste funzionali.

Queste tecniche sono penalizzate, infatti, da riduzione del grado di movimento tibio-tarsico e sottoastragalico in percentuale sicuramente maggiore delle tecniche anatomiche.

In alternativa alle tecniche classiche di emitenodesi e con le stesse indicazioni, come riferito recentemente da Clanton, la ricostruzione con autograft (semitendinoso-gracile come per il legamento crociato) o allograft (detta anche internal brace) sembra preferibile negli atleti per un non-sacrificio tendineo locale e possibilità di stabilizzare su più piani vettoriali più articolazioni.

La tecnica dello shrinkage termico non rappresenta un’indicazione a intervento isolato nelle instabilità laterali croniche, nonostante vengano riferiti da alcuni AA risultati validi fra il 76% e il 90%.

Ulteriori studi hanno dimostrato dopo questo tipo di trattamento un progressivo deterioramento nel tempo, senza risultato affidabile. Tuttavia lo shrinkage può essere un utile gesto supplementare per trattare l’instabilità cronica in corso di trattamento artroscopico (sinoviectomia, asportazione corpi liberi, trattamento di impingement) per la sua capacità di creare una cicatrizzazione dell’area legamentosa trattata.

Si deve ricordare infine come, nel trattamento dell’instabilità cronica in associazione ad un disallineamento del retropiede, avampiede, o ambedue, sia indicata una chirurgia ossea associata quale ad esempio, una osteotomia calcaneare tipo Dwyer o/e una osteotomia di elevazione del primo metatarsale.

LESIONI CONDRALI E OSTEOCONDRALI

Le lesioni condrali e osteocondrali sono alterazioni su base traumatica o microtraumatica che interessano la cartilagine articolare o cartilagine più osso osteocondrale.

La loro frequenza nei soggetti che praticano sport è in costante aumento, grazie anche all’affinamento diagnostico offerto dalle moderne tecniche di indagine, in particolare la risonanza magnetica e dalla diffusione a tutte le età della attività sportiva.

Queste lesioni sono indipendenti dall’età e possono causare, oltre al dolore, una significativa limitazione funzionale dell’articolazione della caviglia.

Una caratteristica tipica delle lesioni condrali e osteocondrali di caviglia è di formare vacuolizzazione cistica sotto la lesione. Questo è assai più frequente nella caviglia rispetto al ginocchio, probabilmente perché il rivestimento condrale talare è assai più sottile della cartilagine del ginocchio e non vi sono, nella caviglia, strutture meniscali di difesa.

Queste lesioni possono essere divise in due categorie, in continuità fra loro, poiché, come vedremo, spesso un quadro acuto, misconosciuto o sottovalutato, evolve in un quadro cronico.

Le lesioni condrali acute sono rappresentate da fratture, in genere da taglio, di lamine cartilaginee (flake fracture) a livello della “spalla” astragalica esterna o da lesioni da compressione, con affondamento del piatto cartilagineo e, talora, dell’osso sottocondrale.

Frattura osteocondrale laterale acuta in atleta di 22 anni. Indicazione a rimozione artroscopica.
Frattura osteocondrale misconosciuta del versante laterale in corso di distorsione di caviglia (flake fracture). La Rx era stata refertata come negativa.

Appartengono alle lesioni acute anche le lesioni da impatto ove la frantumazione della tela spugnosa sottocondrale, pur in assenza di interruzione del profilo articolare, può portare, per imbibizione edematosa, a progressiva sofferenza del mantello cartilagineo, per crisi vascolare sottocondrale.

La cartilagine infatti non ha vasi nutritizi e la sua stabilità sul piano condrale non è particolarmente tenace.

Nelle lesioni acute la sintomatologia è sovrapponibile a un quadro di importante lesione capsulolegamentosa; in questi casi la lesione osteocondrale è diagnosticabile solo qualora sia evidente radiograficamente o opportunamente ricercata con RMN.

Il trattamento di queste lesioni è sostanzialmente conservativo, tranne i rari casi di frammento distaccato (tipicamente laterale).

In tal caso il frammento deve essere asportato o, raramente, reinserito qualora le dimensioni superino il cm e il frammento sia costituito da cartilagine + osso sottocondrale.
Le lesioni condrali croniche hanno morfologia diversa e dipendono, in genere, non da un trauma isolato, ma da una sequenza di microtraumi ripetuti in soggetti sportivi.

La sintomatologia è molto variabile, spesso presente solo in rapporto a specifiche attività e, non raramente, correlate a patologie articolari concomitanti, come sinovite cronica, corpi liberi, conflitti articolari (impingement).

I sintomi più frequenti sono il dolore e gli pseudoblocchi, talora la limitazione articolare.

L’esame clinico è spesso povero di dati diagnostici e si limita eccezionalmente a tumefazione articolare e dolore pressorio intorno alla zona affetta, spesso non direttamente palpabile

L’imaging da attuare nel sospetto di lesione condrale o sottocondrale è rappresenta da semplici Rx della caviglia in tre proiezioni ben eseguite, da una Risonanza Magnetica con macchina ad alta intensità di campo 1,5 Tesla e, talora, da una TC multislice con ricostruzione 3D allo scopo di definire meglio millimetricamente la sede della lesione e di darne le dimensioni vere, poiché la RMN in genere, complice l’edema, sovrastima la grandezza della lesione.

Come valenza diagnostica, e non solo ovviamente, ha estrema importanza l’artroscopia, indagine che in genere è contemporanea al trattamento, ma che è l’unica ad offrire un quadro reale della lesione, in termini di grandezza e gravità.

Le lesioni condrali ed osteocondrali croniche possono essere rappresentate da semplice rugosità del piano cartilagineo, con perdita della tipica translucenza cartilaginea, a veri e propri affondamenti del piano articolare, con frammenti condrali liberi e cisti sottocondrali.

Appartiene a una categoria diversa la lesione osteocondrale mediale, in genere postero-mediale, della troclea astragalica, specie quando ha un aspetto dissecante (cioè distacco).

Queste lesioni sono più simili alle necrosi epifisarie della crescita, come quelle del ginocchio, che alle lesioni condrali e osteocondrali traumatiche.

Le lesione condrali e osteocondrali della caviglia di tipo cronico sono state classificate in molti modi (ricordiamo le classificazioni IRCS, Giannini, Ferkel e Scaglione) per sede, grandezza e stabilità di eventuali frammenti.

Per semplicità riportiamo qui una classificazione semplice, particolarmente utile per decidere come trattarle.

Classificazione delle lesioni osteocondrali dell’astragalo

Innanzitutto le dimensioni: il cut off è rappresentato da 1 cm quadrato, con o senza lesione cistica sottostante (GRADO I). Lesioni di queste dimensioni, specie se superficiali, possono essere lasciate in sede, non operate, eventualmente trattate conservativamente. Vanno sicuramente seguite nel tempo con RMN seriate, per valutare se si estendono.

IMAGING integrato di lesione osteocondrale mediale cistica grado I. Alla RMN ben visibile l’edema, alla TC le dimensioni, alla scintigrafia ossea ipercaptazione con dimostrazione di fase attiva della lesione.

Fa eccezione un frammento mobile, distacco del tutto o parzialmente, che invece merita un trattamento artroscopico di condroplastica, con asportazione del frammento.

Lesioni più grandi possono essere non trattate solo se assolutamente superficiali.

Se le lesioni, alla luce della RMN o della TC sono profonde possono essere divise in quattro categorie:

  • Lesione cistica con comunicazione articolare (GRADO II a);
  • Lesione cistica interessanti il piano cartilagineo senza affondamento dell’osso sottocondrale, che sarà solamente edematoso alla RMN (GRADO IIb);
  • Lesioni ampie non mobilizzate interessanti il piano cartilagineo e l’osso sottocondrale, con cisti singole o multiple sottocondrali (GRADO III);
  • Lesione ampia, affondata, e con frammento mobilizzato (GRADO IV).

Elementi aggiuntivi significativi, specie in relazione alle difficoltà tecniche di trattamento, sono la sede delle lesioni, essendo quelle esterne in genere più anteriori e più facilmente aggredibili e invece quelle interne più posteriori e meno aggredibili.

Presentano inoltre un problema tecnico-ricostruttivo le lesioni della “spalla” astragalica, per le difficoltà di ricostruzione.

Un problema a parte è rappresentato dalle lesioni combacianti, in genere centro articolari, dette kissing lesions.

Lesioni osteocondrali tipo kissing lesion, espressione di sofferenza osteocondrale in quadro di condropatia artrosica iniziale della tibio-tarsica.

Queste lesioni sono rappresentate da una sofferenza speculare fra piano astragalico e tibiale e sono più affini ad un’artrosi iniziale, più che ad una lesione condrale pura.

Il primo approccio di una lesione osteocondrale cronica è solitamente conservativo e basato su stimolazione biofisica personalizzati con campi magnetici pulsati a bassa frequenza (CEMP) per ridurre l’edema, difosfonati ad alte dosi per via iniettiva intramuscolare, se si associa edema esteso dell’astragalo, viscosupplementazione con acido jaluronico intra-articolare.

L’acido jaluronico ha un’azione lubrificante nell’articolazione diminuendo la sintomatologia.

Si discute sulla reale efficacia del trattamento infiltrativo con cellule mesenchinali prelevate dal tessuto adiposo, cellule che sembrerebbero avere un’azione anti-infiammatoria, ma anche rigenerativa.

Tuttavia nella maggioranza dei casi il trattamento conservativo non è efficace nel ridurre la sofferenza del paziente e le limitazioni funzionali derivanti dalla patologia. Pertanto è utile valutare una soluzione chirurgica al problema.

Esistono diverse tecniche chirurgiche che possono essere eseguite in artroscopia o con la tecnica tradizionale a cielo aperto.

La scelta della tecnica più opportuna è legata alla ziona della lesione, la sua grandezza, la tecnica programmata.

Nelle lesioni IIa e IIb di dimensioni superiori a 1 cm il trattamento è artroscopico, con asportazione del frammento instabile od affondato, cruentazione della lesione e condroplastica per stimolazione, mediante pulizia delle “spalle” della lesione e microperforazioni dell’osso sottostante.

TRATTAMENTO ARTROSCOPICO DI LESIONI CONDRALI A sinistra condro-abrasione, a destra perforazioni spike per stimolare la ricrescita cartilaginea.
Frammento osteocondrale mobile di grandi dimensioni: indicazione chirurgia aperta.

Nelle lesioni instabili di dimensioni grandi, intorno a 1,5 cm di diametro, con frammenti mobili e vacuolizzazione cistica sottostante (Grado III e IV) il trattamento consiste nell’eliminazione del tessuto ormai necrotico e nel colmare la nicchia o con autotrapianto prelevato dal ginocchio (OATS) in misura di uno o più (tecnica detta di mosaicoplastica), oppure con tappi (plug) biomimetici, che prevedono l’inserimento di un tessuto bioattivo al posto della lesione.

La tecnica OATS prevede abbattimento e reinserzione del malleolo tibiale, specie quando la lesione è postero-mediale.

Anche la tecnica con plug biometici prevede un accesso artrotomico poiché, dovendo questi plug essere inseriti a tappo ed essendo di lunghezza intorno ad 1,5 cm, richiedono grande spazio di manovra.

Recentemente ha trovato spazio il trattamento con cellule mesenchimali (cellule che hanno un alto potenziale condrogenico ed osteogenico) prelevate dal tessuto osseo spugnoso (esempio dall’ala iliaca). Dopo l’innesto le cellule vengono ricoperte da una membrana di acido jaluronico, creando così una microcamera in cui si può riformare una cartlagine jalina e dunque meccanicamente valida. Questa tecnica ha il vantaggio di richiedere un solo intervento e può essere eseguita in artroscopia.

Le tecniche di riparazione chirurgica per le lesioni condrali ed osteocondrali croniche di caviglia sono tuttora oggetto di grande dibattito, con risultati ancora in discussione, in correlazione ad età del soggetto da trattare, evoluzione e costi.

L’argomento merita dunque grande prudenza, evitando promesse irrealistiche e non supportate dai dati in letteratura.

Grossa lesione cistica mediale trattata con OATS (mosaiocoplastica con autograft dal condilo femorale dello stesso paziente) mediante abbattimento e reinserzione del malleolo interno.
Ampia lesione osteocondrale mediale trattata con autotrapianto prelevato in zona non di carico del ginocchio. In alto l’imaging preoperatorio e poi l’aspetto dopo la reinserezione del malleolo interno con vite. Sotto la grandezza della lesione, il foro corrispondente dopo curettage e, infine, l’innesto in sede.